Neuroscienze, Musica e Musicoterapia

Le neuroscienze, soprattutto grazie alle possibilità di indagine in vivo date dalle tecniche di neuroimaging, hanno potuto dare un grande apporto allo studio degli effetti del fare e dell’ascoltare musica sulle aree del cervello. Nella letteratura vengono indagati molteplici aspetti, tra cui: le aree cerebrali implicate nell’ascolto e nella pratica musicale, musica e funzioni cognitive, musica e movimento, ecc. (Peretz & Zatorre, 2003; Peretz, 2006; Schlaug, 2009; Sloboda, 2005; Trainor, 2008; Zatorre, 2003; Zatorre & McGill, 2005).

Levitin & Tirovolas (2009) hanno evidenziato che le aree del cervello coinvolte sono:

    • la corteccia uditiva, nella percezione dello stimolo sonoro;

    • la corteccia visiva, nell’osservazione, ad esempio, dei gesti dello strumentista;

    • la corteccia motoria, nell’attivazione del movimento sollecitato dal suono;

    • la corteccia sensoriale, nell’utilizzo di uno strumento musicale;

    • la corteccia pre-frontale, nell’elaborazione dello stimolo sonoro.

Koelsch (2009; 2010) riporta, inoltre, che i suoni e la musica attivano anche le aree limbiche e paralimbiche del cervello (in particolare l’amigdala, l’ippocampo e il nucleo accumbens) dimostrandone il potenziale effetto che possono avere su aspetti emotivi, relazionali e comportamentali.

Raglio et al., (2015), in uno studio che misura, attraverso l’uso della Risonanza Magnetica funzionale, gli effetti della Musicoterapia Attiva (Active Music Therpy – AMT) su persone senza patologie cerebrali, concludono che i risultati ottenuti sono coerenti con le basi psicologiche dell’approccio attivo in Musicoterapia e con l’attivazione delle aree del cervello coinvolte nei processi menstici e autobiografici, oltre che a quelle coinvolte nelle esperienze significative personali e interpersonali.

Nel contesto della riabilitazione neuromotoria, l’esposizione alla musica, ai suoni, e anche a training musicali specifici, possono portare a cambiamenti plastici nel cervello in punti nodali dei network cerebrali e nei fasci di fibre che connettono le varie aree, anche in età adulta (Altenmüller et al., 2009; Schlaug, 2009), e questo può comportare effetti che perdurino oltre la durata del trattamento stesso (Schlaug, 2009), in quanto il suono agisce sulla connettività corticale e sull’attivazione della corteccia motoria (Altenmüller et al., 2009; Koelsch, 2010).

In particolare, le neuroscienze hanno stabilito il forte nesso tra musica e linguaggio, dovuto alla sovrapposizione di aree cerebrali coinvolte nelle due forme espressive (Koelsch et al., 2002; Patel, 2003; 2008); queste scoperte hanno portato alla formalizzazione scientifica di tecniche musicoterapiche come la Melodic Intonation Therapy (MIT) (Albert et al., 1973; Belin et al., 1996; Kim & Tomaino, 2010; Norton et al., 2009; Thaut et al., 2014).

Inoltre, la musica rinforza ulteriormente il processo riabilitativo favorendo il coinvolgimento emotivo e creando una forte base motivazionale, oltre a rinforzare l’azione grazie all’accostamento tra stimolo sonoro e parte senso-motoria (Bangert & Altenmüller, 2003; Bangert et al., 2006).

Un ulteriore contributo alla comprensione degli effetti della musica e dei suoni, è stato dato dalla scoperta del sistema dei neuroni specchio. Questo sistema è legato alla comunicazione sociale, alla interazione e all’empatia, e gli studi evidenziano che il suono musicale, oltre a essere percepito come segnale uditivo, viene inteso anche come un insieme di atti motori espressivi, una sequenza di azioni, intenzioni, obiettivi, previsioni e rappresentazioni condivise (Molnar-Szakacs & Overy, 2006; Overy & Molnar-Szakas, 2009). Ecco quindi che i suoni e la musica possono avere un ruolo importante nella relazione con l’altro e nella comprensione del mondo emotivo e delle intenzioni altrui, e questo è un elemento importante che si connette alla relazione sonoro-musicale propria degli approcci attivi della Musicoterapia (Raglio, 2015).

Una parte della ricerca neuroscientifica si è focalizzata sul canto: Zarate (2013) mostra che per cantare sono coinvolti network neuronali multipli che servono sia per il controllo vocale, che per l’elaborazione dei feedback sensoriali. «L’organizzazione funzionale del controllo vocale nell’uomo è simultaneamente gerarchica e parallela» (Candela, 2019, p. 25), ed è dimostrato che danni a regioni cerebrali diverse non interrompono tutti i processi vocali (Candela, 2019).

Keeler et al. (2015) indagano l’incidenza del cantare e improvvisare vocalmente in gruppo sul social flow (Csikszentmihalyi, 1975; Bachen & Raphael, 2011; Engeser, 2012), e concludono che l’esperienza di cantare in gruppo promuove un modo di relazionarsi gratificante e piacevole, con una diminuzione dello stress, legato a modificazioni di processi neurochimici, e una sensazione legata all’esperienza di social flow.

Boni (2017) riassume in uno schema grafico come il corpo e il cervello reagiscono alla musica. L’autore, citando diverse fonti della letteratura, evidenzia che, oltre a creare emozione e significato, la musica:

  • innesca altre reazioni del corpo, come il rilascio di diversi neurotrasmettitori utili alla “vitalizzazione” del sistema neurovegetativo;
  • permette una «sincronizzazione sensomotoria, che consiste in una forma di comportamento referenziato, nella quale un’azione è temporalmente coordinata con un prevedibile stimolo esterno» (p. 91);
  • l’attività musicale implica un continuo confronto tra lo stimolo esterno e il patrimonio mnestico della persona, stimolandola a condividere i propri ricordi e così favorendo il mantenimento dell’identità.
Schema grafico delle reazioni di corpo e cervello alla musica. Tratto da Boni, 2017, p. 92

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    Bibliografia

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