La musica da sola non basta
Quando si entra nel mondo della musicoterapia da musicisti uno dei primi miti che si devono sfatare è quello del potere taumaturgico della musica. Nonostante la musica possa stimolare stati d’animo ed emozioni, anche a livello neurofisiologico, questo non vuol dire che sia di per sé terapeutica.
Quello che la musica e i suoni, prodotti e ascoltati, possono favorire a realizzare è la relazione tra due persone: questo avviene tra il musicoterapeuta e l’utente, e la relazione musicoterapica può essere trasformativa.
La forza della musica sta proprio in questo: creare un clima di condivisione nella bellezza del momento, entrando nel mondo reale insieme, ma lasciando fuori quella quotidianità “invalidante”, per permetterci poi di vederla da un altro punto di vista, ed eventualmente di trasformarla. Ma tutto questo non sarebbe possibile senza la guida di un musicoterapeuta qualificato, che ha le competenze e le capacità per poter valutare, monitorare e fare le proposte adeguate, finalizzando le attività a obiettivi specifici.
Uno dei casi che mi ha permesso di toccare con mano questa possibilità, a cui sono molto affezionata, è quello di Giulia (nome di fantasia), una signora anziana con una demenza vascolare di grado moderato, che è entrata nella mia vita professionale un anno e mezzo fa.
Quando ho conosciuto Giulia ciò che mi ha colpito, oltre alla sua storia di vita raccontatami dai familiari, è stata la sua grande dignità, e il fatto che, nonostante la perdita delle funzionalità, emanasse dalla sua persona una grande forza e autorevolezza. I primi incontri sono avvenuti nel suo soggiorno: lei seduta sulla sua poltrona vicino alla finestra, e io di lato, sul divano, abbiamo rotto il ghiaccio con i primi ascolti musicali, la cui selezione è stata fatta sui suoi gusti e preferenze, così come riportati dai familiari.
Non è stato facile all’inizio, perché Giulia era apatica e con sintomi depressivi, confabulava, confondeva i ricordi e le persone, aveva poca pazienza, era difficile avere la sua attenzione e farla concentrare sulle attività. Seduta dopo seduta, ascolto dopo ascolto, io e Giulia siamo entrate in contatto: abbiamo insieme trovato le “nostre canzoni” (una su tutte “Nel blu dipinto di blu” di Modugno), abbiamo esplorato la musica classica e quella leggera, abbiamo riscoperto insieme l’opera lirica, di cui Giulia è grande appassionata.
Lentamente ho inserito diverse attività da fare con la musica: dalla sonorizzazione di “Pierino e il lupo”, al seguire la pulsazione dei brani con un tamburo, dalla lettura del libretto d’opera durante l’ascolto, a imparare a suonare “Fra Martino” sulle barre sonore.
Oggi, dopo un anno e mezzo e 74 incontri, nonostante il peggioramento della sua situazione clinica (ormai è definitivamente sulla sedia a rotelle), Giulia ha ritrovato il piacere di leggere un libro, di ascoltare la musica quando ne ha voglia anche senza la mia presenza, di ricordarsi che giorno è e che noi ci vediamo il lunedì, di riconoscere qual è lo strumento musicale che sta ascoltando in quel momento, e molto altro…
E io mi chiedo: è la musica che ha fatto tutto questo o il fatto che, attraverso di essa, io e Giulia abbiamo creato una bellissima relazione, fatta di scambi reciproci, di ascolto, di accoglienza e di fiducia, e che questa relazione ha portato piccoli grandi cambiamenti nella sua vita?