L’unione fa la musica

Quando si lavora con un gruppo di persone gli stimoli sono tanti, e se quel gruppo di persone ha come denominatore comune la malattia mentale, diventa molto importante mettersi in una posizione di ascolto.

Una delle mie prime esperienze come musicoterapeuta in un gruppo è stata con gli utenti di un centro diurno psichiatrico, ed è stata una esperienza molto formativa e arricchente, soprattutto dal punto di vista umano. Il contesto era molto protetto, eravamo quattro operatori, di cui uno era il musicoterapeuta e noi altri tre avevamo soprattutto il ruolo di co-terapeuti e osservatori. Ognuno, comunque, nella propria specialità musicale, ha potuto proporre una attività specifica. I partecipanti erano divisi in due gruppi, la cui differenza fondamentale era la presenza o meno di ritardo cognitivo.

La proposta è stata quella di un Laboratorio di Musicoterapia, dove si sono svolte diverse attività: dall’improvvisazione musicale, al body percussion, al songwriting. La mia personale proposta è stata quella di trasformare degli esercizi ritmici parlati, che già i due gruppi conoscevano, in una breve composizione polifonica. All’interno di ogni gruppo, ognuno formato da circa otto utenti più i quattro musicoterapeuti, ho creato delle vere e proprie sezioni, come in un coro, a cui ho assegnato una parte.

Il mio obiettivo era duplice: stimolare l’ascolto degli altri concentrandosi sulla propria consegna, e favorire il lavoro di gruppo all’interno della propria sezione. All’interno di ogni incontro, che durava in totale circa 50 minuti, a questa attività sono stati riservati circa 10 minuti, e nei sette incontri in cui è stata proposta sono stati evidenti i progressi fatti: in entrambe i gruppi le varie sezioni sono riuscite man mano sia a seguire la pulsazione generale, che a intonare la “polifonia”.

Per me è stata la prima volta che mi sono cimentata nel progettare una specifica attività musicale con una determinata finalità, e che tenesse conto sia di fattori pragmatici, come il tempo a mia disposizione, che dei fattori umani, ovvero le potenzialità degli utenti, le loro caratteristiche, in modo da poter dare loro l’opportunità di fare una esperienza che fosse anche gratificante.

Da questa bellissima esperienza, troppo breve ahimè, ho imparato molto, non solo dal punto di vista professionale. Alcuni sorrisi soddisfatti dei partecipanti, la loro semplicità e la voglia di mettersi in gioco, mi hanno fatto capire quanto siano importanti l’accoglienza e l’ascolto dell’altro per ciò che è e che può esprimere.

Per chiudere, lascio una breve registrazione della “polifonia” cantata da me.

I miei percorsi di Musicoterapia

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